giovedì 20 aprile 2017

Il Piccolo Principe

A volte sembra che non prendiamo sul serio i sogni dei ragazzi, perché ci sembrano folli e lontani dalla realtà. Delle volte, invece, son loro che ci raccontano un po' di quello che vorremmo sentirci dire o che la società ritiene rispettabile. Ma la cosa peggiore accade quando i ragazzi stessi credono alle baggianate che sono state infilate nelle loro teste, lentamente e subdolamente. E il dramma maggiore sta nel fatto che molto spesso i grandi non se ne accorgono.
Ieri sera sono riuscita, finalmente, a vedere "Il Piccolo Principe", film d'animazione che trae spunto dall'omonimo libro. Certo, il testo scritto, data la sua bellezza, non potrà mai essere paragonabile a qualunque film che ne parli, anche se in questo ho trovato le immagini relative ai ricordi dell'aviatore molto fedeli all'atmosfera che il libro mi ha sempre trasmesso.
"Il Piccolo Principe" è un testo che andrebbe riletto nelle varie fasi della vita, perché è uno dei pochi libri "profani" che sanno accoglierti e sconvolgerti, svuotarti e riempirti, entrarti dentro e restarci.
Perché parlo di questo? Perché il film, come il libro, altro non è che una metafora della vita contemporanea. Per certi versi la versione cinematografica è forse un po' schematica, ma come riuscire ad essere davvero comprensibili e fruibili senza giocare sugli opposti? Si tratta di una finestra sul mondo, sul mondo degli adulti e quello dei bambini, sulle scelte esistenziali, sulla scelta di essere se stessi, con le proprie sfumature, coi colori, a costo di rischiare.
È una finestra sulla vita e sulla morte, sui sogni, sulle aspettative, sui rischi, sulla complicità di anime che si incontrano intimamente. L'immagine del soffio della vita che scorre, del disordine della bellezza, delle prospettive di sguardi che si accavallano, della lotta all'omologazione.
È un grande cuore che abbraccia tutti coloro che amano stupirsi e appassionarsi, tutti quelli che non si lasciano appiattire dalle cose sbagliate, dai giudizi, dagli stereotipi, dai limiti che la vita terrena cerca di imporci. Perché questa scorza, che è il nostro corpo, ci limita all'apparenza di ciò che vediamo, ma l'essenziale, lo sappiamo, è invisibile agli occhi.

mercoledì 22 marzo 2017

Un sogno, il mio


Vi racconto il mio sogno. Sembra tanto bello quanto improbabile, ora, ma qualcuno diceva "Impossible is nothing" e, anche se si trattava dello slogan di un famoso brand, io resto dell'idea che crederci sia il primo passo verso l'impossibile (e voi lo sapete che ho una pagina facebook con questo titolo, vero?).

Ecco cosa vedo: vedo un luogo immerso nel verde, pieno di prati e alberi, delle stalle con cavalli e altri animali, annessi e connessi per il lavoro, una zona dedicata ai cani e alle attività cinofile, una piccola casa o una yurta per me, un locale di culto e una yurta per le attività educative. 
Ma questo è solo un luogo, dentro dovrebbero starci persone piene di amore, passione, persone che abbiano voglia di darsi, di mettersi a disposizione. Persone pronte ad accogliere uomini e donne che stanno cercando una ragione, una via, un percorso, uomini e donne che cercano spunti di crescita interiore e comunitaria, che vogliono mettersi in gioco in esperienze nuove dove la bellezza, la natura, la gratitudine e lo stupore regnano sovrani

E bambini. Bambini che sorridano, che facciano baccano, che godano di tutto questo per essere se stessi. Ed essere felici.

Un luogo di felicità. Che passi tutte le prove e continui ad essere felice.

Impossible is nothing!

domenica 29 gennaio 2017

Il barattolo della calma

È da un po' che non lascio qui aggiornamenti, ma il lavoro è stato moltissimo e oggi posso dire che la "Nuova Pentecoste" di Medolago (BG) ha davvero dato il meglio per creare uno spazio a prova di Bambino, che esprima tutto l'amore possibile per una Creatura tanto delicata e forte allo stesso tempo. È così nata quella che noi chiamiamo "Tana del Gufo" (avremo diverse occasioni per approfondire il perché di questo nome e il senso di questo luogo). Non si tratta di perfezione, ma semplicemente di pensiero. Ed è proprio un pensiero che oggi voglio condividere con voi, sperando possa aprire piccoli o grandi orizzonti. 


Stamattina alla Tana abbiamo creato i barattoli della calma. Non so se li conoscete, sono barattoli usati nelle scuole montessoriane per aiutare i bambini a calmarsi nei momenti di rabbia e agitazione. Non ci vuole molto per farli, basta dell'acqua, dei glitter, brillantini colorati e acquarelli, oltre ovviamente a dei vasetti di vetro muniti di coperchio, da sigillare poi con della colla a caldo. Per ulteriori informazioni su questi interessanti strumenti vi rimando a questo link.
Eravamo in otto: due adulti e sei bambini/ragazzi dai tre ai dodici anni. Di solito i barattoli della calma si utilizzano con i bambini piccoli, quindi è stato un azzardo proporli a dei ragazzini. Ma la straordinaria bellezza dello stupore e della delicatezza ha colpito ancora. Ognuno aveva il suo barattolo ed era attirato da quei brillantini che si muovevano turbinando prima più veloci poi più lenti. Anche il procedimento di creazione del lavoro finale è stato ricco di attenzione ed entusiasmo e pure di un pizzico di riverenza, come se si stesse facendo qualcosa di importante. 
Come sempre durante il pomeriggio non ho potuto fermare le riflessioni in merito al lavoro svolto e a ciò che esso ha messo in luce.
Sopiti sotto dure cortecce, fatte di strafottenza, insolenza e agitazione si celava infatti il grido della calma. Un grido che oggi i bambini non possono più urlare. Un grido che forse più di tutti avrebbe il diritto di essere urlato. Adesso. 
È il diritto di guardare dentro se stessi, di ascoltarsi, di stare in silenzio e oziare, lasciandosi trasportare dai pensieri, dallo stupore, dalla meraviglia e dall'incanto. Solo dei semplici brillantini in movimento. A cosa mai potrebbe servire fissare dei brillantini in movimento? Eppure in un barattolo si nasconde tutto un mondo di sogni e necessità silenziose. Nessuna richiesta, nessuna prestazione, nessuna pressione, solo ciascuno di fronte a se stesso, con se stesso, nel proprio angolo di calma. Imparare ad ascoltare se stessi per ascoltare gli altri. Così un ragazzo agitato se ne stava lì seduto, con il suo barattolo in mano, fissando il movimento al suo interno. 
E alla fine tutti i barattoli sul mobile. Sono da decorare domenica prossima, ma resta il desiderio profondo di poterli portare con sé per dire ai grandi che anche noi più piccoli abbiamo il diritto di stare lì a far nulla eppure facendo grandi cose.

mercoledì 4 gennaio 2017

Il fallimento dell'educazione


Abbiamo fallito. Abbiamo fallito come genitori, abbiamo fallito come educatori e come insegnanti. Non posso accettare che un ragazzino di 11 anni scoppi in lacrime di fronte ai miei occhi dicendo: "Io sono stupido. Sono nato per rompere". Non posso accettare che ragazzi di undici, dodici anni mi dicano che da grandi vogliono fare i mantenuti. E non posso nemmeno lasciar stare il fatto che non sappiano più rispettare l'autorità, che sentano la necessità di ribellarsi continuamente, di fare gli anarchici. Lo sappiamo tutti che bambini e ragazzi hanno bisogno di regole per essere condotti nella direzione giusta, verso una formazione stabile e integra della propria personalità. Ma allora perché i giovanissimi di oggi non sanno più rispettare le autorità? Perché si ribellano continuamente?
Abbiamo dimenticato di essere dei buoni leader per i più piccoli. Vogliamo che le loro personalità si forgino in relazione alle nostre aspettative e se tali aspettative non vengono soddisfatte diventiamo dispotici o non curanti. Pretendiamo oppure abbandoniamo i ragazzi a loro stessi. Se crediamo che abbiano molto di più da dare li pressiamo con richieste, anche implicite, chiediamo degli standard e dei risultati di un certo livello. Insegniamo loro a competere. A competere con gli altri, con i fratelli o le sorelle maggiori, con i compagni o compagne di classe, a competere pure con noi stessi. "Puoi fare di più, devi fare di più!". E loro ci provano, continuano a provarci finché iniziano a ribellarsi, a leggere sempre meglio le nostre incongruenze e ad odiarle. E ad odiare l'autorità in genere, tutta.
Nel caso in cui pensiamo di non poterci aspettare granché, invece, beh abbiamo il coraggio di emarginare, di non prendere in considerazione, di chiedere il minimo indispensabile. E a volte nemmeno quello. È sufficiente che il bambino o la bambina, il ragazzo o la ragazza, restino nei canoni della decenza, che non ci facciano fare brutte figure e questo è sufficiente. D'altra parte che speranze potremmo nutrire?
Ma ci siamo mai resi conto che alla base di tutto questo altro non c'è che un'assoluta mancanza di ascolto e riconoscimento dell'individualità del bambino, dei suoi talenti, delle sue predisposizioni? Come possiamo aspettarci rispetto se non sappiamo rispettare? Ogni uomo, ogni individuo è stato creato con in sé qualcosa di unico e speciale, doni tutti suoi che non sono uguali a quelli di nessun altro. Se riconosciamo questo, se lo rispettiamo, se non permettiamo a nessuno (nemmeno a noi stessi) di deridere queste unicità, allora saremo leader degni di rispetto.
Mai accetterò che un bambino pensi di non essere unico, mai accetterò che pensi di non aver nulla di interessante da mettere nel mondo. Se a undici dodici anni l'io di un ragazzo o una ragazza non è formato, se non c'è speranza per il domani, fiducia nelle proprie possibilità, entusiasmo di fare e costruire, come sarà possibile entrare in quel turbine che è l'adolescenza e uscirne vivi interiormente? Facciamoci delle domande, perché abbiamo fallito e rischiamo che sia troppo tardi per tornare indietro.

giovedì 3 novembre 2016

Verso la sostanza

Pensiamo che per essere  bravi educatori, genitori o insegnanti, dobbiamo indottrinare, imprimere nella mente di bambini e ragazzi delle nozioni ben precise, dei valori esplicitati in regole ben verbalizzate, una cultura fatta di successioni mnemoniche di fatti e formule. Così i bambini (i più "bravi") sanno tutto e si comportano come devono.
Qual è il problema in tutto questo? Il problema è che i veri bisogni dell'uomo sono l'essere nutrito (nel corpo, nell'anima e nello spirito) con la vicinanza, l'amore, la bellezza e autoaffermarsi come Io unico e irripetibile, autoriconoscersi e posizionarsi in pienezza nel mondo. Ora se noi guardiamo al futuro, alla società e alle regole che essa impone non possiamo che volerci affrettare nel metodo educativo e didattico con cui ho aperto il post. In questo modo pare che la collocazione di ciascun bambino e bambina nel mondo sia avviata e sicura. Ma così facendo non ci domandiamo affatto come tale collocazione possa avvenire nel pieno rispetto dell'interiorità del bambino e della bambina stessi, anzi in modo che essa sia davvero stimolata a crescere e a venire espressa all'esterno in piena libertà e consapevolezza.
Insegnare delle lezioni è e deve essere una minima parte del lavoro dell'educatore, spesso nemmeno parte visibile. Prima di tutto vanno gettate le basi per una consapevolezza di se stessi, del mondo fuori, di ciò che di bello può esserci, per stupirsene ed esserne grati. Una scuola che non è in grado di fare ciò è una scuola morta, che stimola solo una memoria cerebrale scollegata dalla memoria animica. Ma se queste due memorie non si legano assieme attraverso l'esperienza e per mezzo di un'arte dell'educazione fatta di talenti, nulla potrà far presagire un futuro migliore. Avremo uomini frustrati e ancor prima bambini arrabbiati, che odiano l'istituzione scolatica e, di conseguenza, il sapere che ad essa collegano.
Bisogna uscire dai banchi, uscire dalle mura, uscire dai vecchi schemi. Solo genitori coraggiosi saranno in grado di prendere decisioni così difficili e importanti, oltre il prodotto e verso la sostanza più vera.

sabato 15 ottobre 2016

Vivi come sei



Lui si chiama Gabriele Saluci ed è uno che ha lottato per i suoi sogni. Ce l'ha fatta. E' arrivato qui, con un miniserie su Rai3, al Kilimangiaro. Avrei voluto condividere direttamente il video, ma il sistema non me lo permette. Ci tengo però che lo guardiate e ci tengo che, anzi, vi guardiate pure il video qui sopra, che è quello della sua partenza, del suo inizio. No, no, non si pensi che io stia tessendo le lodi di un uomo per ergerlo a dio. E' solo un esempio, ma uno di quelli che merita, per ripetere e ribadire ancora un concetto che mi sta a cuore: lottate, rischiate per i vostri sogni. Non per i capricci, non per le futilità, ma per essere quello che dovete essere, per dare quello che dovete dare, per fare della vostra vita l'espressione piena del vostro potenziale. Se non sapete chi siete, impiegate il vostro tempo per scoprirlo. Coltivate la vostra anima e la vostra spiritualità, guardate in Cielo e intorno a voi e trovatevi. Quando lo avrete fatto, rischiate. Meglio delle certezze infelici o delle incertezze che portano alla felicità? Se quella è la vostra strada non fallirete. Non potete, è il vostro posto nel mondo, è solo vostro, nessun altro potrà occuparlo, è stato riservato per voi da prima che voi nasceste. Io credo sia stato Dio a farlo, voi cosa ne pensate? Credeteci, combattete, viaggiate verso la vostra via, sulla vostra Via. Non serve correre, basta un passo alla volta, ma, sappiatelo, dovrete in qualche modo fare un salto nel buio o prendere decisioni controcorrente. Se ascoltate la storia di Gabriele, cogliendola dai vari video e post su facebook, vi accorgerete di un fattore comune a chi insegue i propri sogni: la risoluzione. Lui ha lasciato l'università (per poi laurearsi in un secondo momento), ha preso una bicicletta ed è partito da Torino per arrivare in Islanda. Non credo che tutte le persone intorno a lui gli abbiano subito stretto la mano o dato un abbraccio, insomma potrebbe essere che ci fosse un po' di paura e di sconforto all'idea che lasciasse le sue certezze per andare dove... e poi, per quale motivo? Ma questo non lo ha fermato. E si può dire che ora sia questo il motivo del suo successo. Non ritengo che lui sia meglio di altri uomini o donne, ognuno è speciale per ciò che è. Il suo merito è stato quello di crederci e farsi guidare dal suo istinto (e dopo le sue qualità tecniche e la sua professionalità sono cresciute). A volte fa meglio ascoltare il cuore che la mente. Ci sono pensieri, idee, sensazioni che riguardano noi stessi che non trovano la via dell'oblio. Continuano a martellare dentro, prima più nebulose, poi sempre più delineate. E stanno lì, a dirti che tu sei quello, non altro, che se nato per essere in un posto. Se tutti smettessero di lottare contro se stessi, il mondo sarebbe nuovo. Migliore. Lo so, è destinato a morire, ma finché noi saremo in vita il nostro compito è renderlo felice. Rendendo felici noi stessi. No, non per capriccio, per dovere. In questo modo anche Dio sarà felice.


martedì 11 ottobre 2016

La povertà interiore

(Foto dal web)


Domenica sera ho partecipato alla riunione dei volontari di Bergamo di Compassion, una Onlus che si occupa di povertà ed in particolare di bambini poveri. La straordinarietà del lavoro di questa associazione sta nel fatto che il suo scopo finale non è solo quello di contribuire economicamente al miglioramento delle condizioni di vita delle persone, ma di donare loro una speranza. La povertà, infatti, ha una componente interiore che è caratterizzata in sostanza dalla paura e dalla mancanza di speranza nel futuro. Questa condizione non permette un cambiamento e nemmeno una crescita economica, ma genera piuttosto un adeguamento alle condizioni sociali. Cambiare questa prospettiva, non solo fornendo la soddisfazione dei bisogni fisici di un bambino o una bambina, ma creando situazioni e ambienti che stimolino fiducia, autostima, accettazione, valori altruistici, significa crescere uomini e donne fiduciosi, nel futuro e in un possibile cambiamento. È così che il cambiamento stesso può infatti aver origine. 
Ora, quello su cui mi preme ragionare è quanto tali condizioni vengano stimolate in una società ricca come la nostra, dove il benessere regna quasi indisturbato. No, non voglio affatto dire che le famiglie italiane non stiano subendo la crisi, ma, diciamocelo, quante rinunciano a smartphone, automobile, televisore, computer e tutti i comfort che tanto sono normali nella nostra società? Parliamoci chiaro, in fondo non ce la passiamo poi tanto male. Se rivalutassimo alcune priorità ce ne renderemmo conto. E allora, dato il nostro stato di benessere, siamo certi che stiamo infondendo nei più piccoli fiducia, forza, coraggio per la realizzazione dei propri sogni? Se la risposta è "sì", questo deve tradursi in presenza da parte dell'adulto e cura in senso ampio, passione per la vita, desiderio di ascolto, dilatazione dei tempi di vita (per lo meno di quelli passati insieme ai più piccoli) e milioni di altre piccole grandi cose che mettono al centro i bisogni del bambino come essere trino. Sono riflessioni importanti, che non possono essere tralasciate. 
Al centro di una società devono starci i bambini, perché essi sono ciò che di più vicino a Dio esista e tali possono rimanere se viene data loro la possibilità di crescere in maniera completa, al massimo delle proprie possibilità e talenti.