mercoledì 16 marzo 2016

Eredità

In questi giorni, anche in relazione a confronti informali con alcuni genitori, ho avuto necessità interiore di riflettere su cosa significhi avere un figlio.
Credo che mettere al mondo un altro essere vivente sia per prima cosa trasmettere un'eredità. Tale eredità è non solo materiale, ma anche fortemente spirituale ed emotiva. Il forte valore morale di questo messaggio è dato dal fatto che moltissimo di ciò che noi siamo e tutte le nostre attitudini di vita vanno ad influenzare in maniera non lineare, ma molto forte, ciò che i nostri figli sono e saranno.
Ciò non significa affatto che i figli dovranno essere la copia dei genitori, anzi è un grosso errore desiderare che sia così piuttosto che educare alla libertà di espressione delle proprie qualità e particolarità (quante volte ho parlato di talenti?). Ma negare questa ereditarietà significa non prendersi la responsabilità di ciò che si è e si fa e lasciare che l'educazione sia solo un dedicarsi alle circostanze del momento e alla risoluzione dei problemi contingenti della quotidianità. 

La realtà interiore di un genitore si esprime nelle sue prospettive educative e nel suo fare di tutti i giorni. Un genitore che vuole crescere un bambino o una bambina che sia un uomo o una donna felice, deve necessariamente sperimentare tale piena felicità affinché per il figlio o la figlia la vita ne sia realmente intrisa. Può dirsi la stessa cosa della libertà: essere persone interiormente libere può formare persone libere
Se mamma e papà (e anche educatori o maestri) non si rendono conto di quanto gli adulti trasmettano al nascituro dal momento in cui viene alla luce, non potranno mai educarlo (e accompagnarlo) alla realizzazione di se stesso. Il modo in cui si muoveranno sarà limitato al presente e non sarà in grado di analizzare le componenti reali e profonde degli avvenimenti e di progettare una linea di conduzione che sia coerente e sensata per il proprio bambino o la propria bambina. Questo non vuol dire essere sempre e solo proiettati nel futuro e men che meno nelle proprie aspettative (seppur debbano essere ben chiare davanti a sé) quanto valutare nel qui e nell'ora come il proprio passato, il proprio vissuto e soprattutto il proprio essere attuale sia fortemente legato all'essere del bambino.


In tutto questo, però, c'è di più: il legame non è solo dato dal fare, ma da quella legge fortemente spirituale che regola l'esistenza tale per cui le generazioni sono inevitabilmente legate da un filo che le avvicina. Non si tratta solo di genetica o sistemica familiare, quanto di un più profondo legame che si riconosce in eventi, configurazioni, realtà che si ripetono. È assolutamente possibile rompere tali fili quando essi vengono prima riconosciuti e poi rifiutati. Ma ciò può avere valenza positiva in relazione a doti, qualità, espressioni umane intrise di bellezza. Tale condizione è perfettamente espressa nelle benedizioni di Dio fino alla millesima generazione, come la Bibbia ci racconta. 

Riconoscere questi legami, vedere questa ereditarietà è un senso di responsabilità enorme ed una presa di coscienza notevole, che comporta una profonda autoanalisi e analisi familiare e generazionale. Decidere di non prendere in considerazione cosa i nostri figli ereditano, nel bene e nel male, è decidere di non permettere loro di realizzarsi fino in fondo.

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