giovedì 5 maggio 2016

Bambini altamente sensibili

Martedì sera abbiamo parlato della parola, del linguaggio, io, genitori presenti e futuri, nonni.
Dalle domande di una mamma, perplessa in merito ad alcuni comportamenti del figlio di tre anni e mezzo, ci siamo trovati a parlare di bambini altamente sensibili
In realtà solo una persona altamente sensibile può capire davvero cosa significhi rientrare in questa categoria. Fondamentalmente tutto è amplificato all'ennesima potenza. Anche le emozioni, non solo ciò che si percepisce con i cinque sensi. Questo significa che un bimbo o una bimba ipersensibile può arrivare a non tollerare nemmeno un paio di jeans o l'etichetta di una maglietta. E che può piangere per giorni a causa di una parola detta dalla mamma o dalla maestra più bruscamente del solito. I bimbi e le bimbe altamente sensibili sembrano spesso capricciosi, quando cominciano a crescere arrivano spesso ad urlare ai propri genitori "Voi non mi capite! Nessuno mi capisce!", pur quanto loro li amino profondamente. Non vogliono fare cose che per i coetanei sono normali, hanno paure spesso incomprensibili, come per esempio possono odiare le feste di compleanno affollate, le maschere di carnevale (perché sussultano con grandissima facilità e ciò crea in loro molta ansia) o semplicemente guardare alcuni programmi televisivi per l'infanzia (più o meno per lo stesso motivo).

Vi racconto tutto questo perché io sono stata una bambina altamente sensibile e sono tuttora una persona altamente sensibile (non è una malattia, per cui non si guarisce, è semplicemente un modo di essere). Il problema di questi bimbi è che non sanno di essere tali e, trovandosi spesso in difficoltà nel farsi capire dagli adulti e nell'essere accettati dai coetanei a causa di comportamenti considerati lagnosi o troppo introversi o eccessivi, cominciano a sentirsi diversi, sbagliati. E più si sentono così, meno sono in grado di manifestare coerentemente il proprio disagio. Non sanno spiegarsi perché le cose vadano così. Pensano di essere nati "storti" e che nessuno riuscirà mai a capirli. E difatti nessuno li capisce, di solito. Spesso non si tratta di una colpa, ma del semplice fatto che cose del tutto normali possono ferire un ipersensibile.
Io, purtroppo, sono giunta all'età di trentuno anni a scoprire di essere una PAS (per approfondimenti clicca qui), perciò ho capito tardi di non essere l'unica e di non dover gestire un'anomalia strutturale, ma semplicemente di dover diventare consapevole di una realtà. Non che ormai ne avessi bisogno, quasi mi cominciava a piacere l'idea di essere anomala, ma sicuramente il fatto di poter spiegare alcune cose mi è stato di grande aiuto (ci sto scrivendo un libro, anche se per ora ho il blocco dello scrittore, perciò non so quando riuscirò a pubblicarlo). 

In merito a questo, ieri ho ricevuto il messaggio di una mamma il cui figlio era presente all'incontro di confronto di martedì, che mi ha raccontato quanto quest'ultimo fosse uscito elettrizzato dalla serata, perché finalmente poteva dare delle giustificazioni alle sue emozioni e raccontare di quella volta che era successo quello o quell'altro analizzando tutto in una nuova chiave. Adesso sapeva di non essere diverso! Adesso, insieme ai genitori, poteva dare un senso ai suoi comportamenti e sistemare alcune incomprensioni che nel corso del tempo erano rimaste sospese, creando disagio e perplessità! Adesso poteva a diritto non indossare i jeans e avere paura dei palloncini, poteva dare una spiegazione al fatto che quel giorno aveva detto: "Voi non mi tenete in considerazione!" e comprendere come mai la professoressa di geografia proprio non ce la fa a capirlo.
Bambini e ragazzi così hanno bisogno di essere riconosciuti, in qualche modo ne hanno bisogno più di altri. Bambini (e ovviamente bambine) così hanno la necessità di una scuola diversa, di genitori consapevoli del loro bisogno, che prendano in mano le redini della loro istruzione affinché essi possano sentirsi capiti e in diritto di tirare fuori le proprie passioni, i talenti, la creatività come bellezze e unicità che non sono sbagliate, ma ricche di significato. Hanno la necessità di piangere e ridere, di piangere e ridere a volte più degli altri, di recitare o di scrivere, di costruire o raccontare. Hanno bisogno di raccontarsi e di sentirsi amati. Di essere amati anche quando, per una parola di troppo, non sono in grado di trattenere le lacrime o, per un rumore troppo forte, si vanno a nascondere. Hanno bisogno di mettere in campo la propria empatia verso gli esseri viventi altri da loro e di viverla fino in fondo. A costo di soffrire.


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