venerdì 26 agosto 2016

Io ci credo

Nel mio sogno più grande, ma proprio il "più gigante" (non me ne vogliano le mie maestre di scuola elementare), c'è una vita fatta così: una casetta, non grande  (non serve molto per star bene e poi vuoi mettere pulire quaranta metri quadri o pulirne cento?), un bel po' di terra agricola, cani, cavalli, qualche altro piccolo animale, un bell'orto e una vita di autoproduzione portata all'espressione migliore che io sia in grado di sostenere. In mezzo a tutto ciò, ovviamente, non intendo fare come Alexander Supertramp, che si è accorto tardi del fatto che la felicità stia nella condivisione. Dovrà esserci gente che va e che viene, persone che hanno voglia di imparare e insegnare, uomini e donne che abbiano il desiderio di sperimentare una vita lontana dal caos cittadino, che desiderino condividere fede ed esperienze. Ma soprattutto bambini. I bambini saprebbero apprezzare tantissimo tutto questo. Loro sì, direbbero che non c'è nulla di più divertente del lanciarsi dalle balle di fieno e correre con i cavalli, arrampicarsi sugli alberi e leggere un libro davanti al camino. Unschooler per genetica evoluta (mentre la scuola, pur avendo studiato tutte le teorie darwiniane possibili e immaginabili e averle considerate vere verissime, non è stata in grado di evolversi di conseguenza), i bambini faranno il loro percorso per diventare uomini e donne e tali saranno.


Lo so, lo so, starete pensando che sono una sovversiva delirante, che vuole chiudersi in un mondo di fantasia per non vedere il male presente nella realtà. E poi, a trent'anni suonati e sorpassati, senza 'na lira (leggi un euro) e con competenze ancora incomplete, cosa voglio pensare di fare? Se anche fossi certa di volerlo realizzare, come mai sarei in grado di farlo? Ebbene ne sono certa. E lo farò.
Non sono io quella che vi dice di lottare per i vostri sogni, di crederci, di continuare ad essere quello che siete chiamati ad essere, per come siete stati creati, di avere fede che, se davvero farete di tutto per mettervi al posto giusto, nulla potrà impedirvelo? Sapete una cosa? Io ci credo davvero. E voi?

mercoledì 17 agosto 2016

È oggi

Lottate sempre. E imparate ad apprezzare ogni piccola cosa che Dio vi regala. Perché anche se non ci credete, tutto ciò che di bello c'è intorno a voi, la natura, il cielo, le stelle, i sorrisi, sono un dono per voi. Sono un dono per te.
I bambini riescono ad essere felici perché sanno vedere tutto questo. Hanno come un radar che percepisce ogni minima cosa bella. Noi, invece, stiamo a pensare a come sbarcare il lunario, a come sopravvivere nella giungla della vita, a come salvarci dalla cattiveria, a come arrivare dove vogliamo. Ma il viaggio è lungo. E poi non è detto che quando ci arriveremo saremo felici.
La felicità è adesso, è dentro chi sa vedere il bello, a chi sa valorizzare ciò che ha e disporlo verso l'esterno.
Apprezziamo la vita, tiriamo fuori il meglio, smettiamola di nasconderci, abbiamo il coraggio di essere quello che dobbiamo essere.
Non rimandare a domani. Il giorno della grazia è oggi. Il giorno della scelta verso la tua vera essenza è adesso.

lunedì 8 agosto 2016

Il sentiero della felicità

Sono una persona piena di speranze. 
Da piccola ero una pessimista catastrofista, ma solo perché, essendo ipersensibile, lasciavo vincere la percezione di essere inevitabilmente incompresa e fuori dal mondo. Il che significava dovermi gestire il mondo interiore da sola, con conseguente autoreferenzialità eterna. Non che oggi questa percezione sia del tutto sparita, ma sull'altro piattino della bilancia la fede e l'entusiasmo per la vita, associati alla consapevolezza di poter costruire il mio presente (e anche il futuro), pesano verso la positività. 
Perché dico questo? Perché non voglio lanciare un messaggio di ineluttabilità. Penso, infatti, che ci sia sempre una via di uscita e un punto di svolta. Il problema è che, più rimandiamo, più questa svolta necessiterà di manovre difficili, dolorose e faticose. Questo ha un peso nella vita di tutti, ma lo ha ancora di più quando si tratta della crescita e dell'educazione dei bambini. Che poi le due cose sono collegate. Mi spiego meglio: quando un adulto sviluppa un certo modo di vivere nel quale lo sforzo di oggi non vale la felicità del domani (il che si potrebbe tradurre nel "faccio la cosa che mi costa meno fatica o mi arrangio per risolvere le questioni impellenti, poi per il domani vedremo") è portatore di un tipo di approccio alla vita che non è in grado di generare felicità, se non un senso di appagamento temporaneo che svanisce non appena il problema si ripresenta. Tale atteggiamento nasconde comunque una certa ansia dovuta alla consapevolezza che la criticità si ripresenterà. Come se non bastasse, questo stile di vita ricade pesantemente sulla vita dei figli e sulla loro crescita, perché di solito include anche lo stile educativo. Lo so, ho detto che non voglio essere catastrofista (anche se va di moda e a volte serve per riaccendere le coscienze), ma sono dell'avviso che con i piccoli il rischio di tutto questo sia molto elevato. L'infanzia è il periodo più impregnante della vita, quello in cui si gettano le basi di tutto. Oserei quasi dire che la prima infanzia (0-3 anni) lo è. Questo significa che ciò che facciamo, il modo in cui viviamo, la modalità con cui intendiamo la felicità, saranno il fondamento su cui si baserà la personalità del bambino o della bambina. Se rimandiamo la risoluzione di alcuni problemi, se cerchiamo di tamponare, ma non andiamo in profondità, tutto il futuro dei figli verrà compromesso. Ora, proprio perché ho detto di avere fede, credo che con amore, buona volontà e tanta tanta sincerità si possa sempre ricominciare, ma più si rimanderà, più sarà difficile e le conseguenze saranno dolorose da pagare. 
Come è facile notare, spesso le reazioni dei genitori verso i figli subiscono un'escalation. Partono blande e aumentano in un crescendo di severità, ricatti, anche violenza. Non voglio puntare il dito, pure io da piccola ho preso qualche scappellotto e non ne sono rimasta traumatizzata (non sto dicendo che bisogna usare le botte, mi raccomando, non fraintendetemi!), ma il problema sta nel fatto che, giunti al culmine di questa escalation, non si hanno più soluzioni. A questo punto o si cede o si torna indietro. Ma tornare indietro non vuol dire fare piccoli passi: significa svoltare drasticamente, cambiare tutto, spesso fare scelte di vita radicali, che non coinvolgono solo i figli, ma tutta la famiglia. Il che sarà davvero duro. 
Non diamo la colpa alle cose intorno, alle persone che gravitano attorno al nucleo familiare. Tutto dipende da noi. È tutta questione di scelte e del modo in cui intendiamo la felicità. Nostra e dei nostri figli. Dico "nostri" anche se non ne ho, perché se dovessi averne saprei di stare sulla stessa barca e dover remare. Forse è per questo che per ora l'istinto materno non ha vinto sulla ragione: essere genitori è il lavoro più duro che ci sia. Già lo è essere uomini e donne, ma diventare genitori significa saper portare appieno quella responsabilità per poi insegnarlo ad altri.

È un lungo sentiero.